Dal Monte Ortigara all’Afghanistan: la fulgida epopea del Dovere e del Sacrificio
di Tullio Vidulich
Generale di Brigata degli Alpini
Le Truppe Alpine hanno avuto origine nel 1872, quando il Regno d’Italia dovette affrontare il problema della difesa dei nuovi confini terrestri, che dopo la guerra del 1866 contro l’Austria, coincidevano quasi interamente con l’arco alpino.
Da poco, infatti, si era compiuta l’unità d’Italia con Roma capitale e il nuovo stato si trovava a dover affrontare una situazione internazionale molto delicata per il riaccendersi di tensioni con la Francia e con la potente monarchia Asburgica, ancora potenzialmente ostile dopo la cessione del Veneto all’Italia.
La mobilitazione dell’Esercito e la difesa del territorio nazionale erano state, fino allora, previste nella pianura padana in corrispondenza del vecchio Quadrilatero perché le Alpi, nella concezione strategica del tempo, non erano ritenute idonee a operazioni di guerra. La prima linea difensiva vera e propria era, a quel tempo, imperniata sulle posizioni di Stradella – Piacenza – Cremona in corrispondenza del fiume Po.
L’idea di affidare la difesa della frontiera alpina ai valligiani del posto anziché ricorrere a truppe di pianura, che oggi appare semplice e logica, a quei tempi era assolutamente originale, quasi rivoluzionaria. Gli esperti militari del tempo erano convinti che una reale difesa sulle Alpi non fosse possibile e che un eventuale invasore dovesse essere fermato e ricacciato solo nella pianura padana.
L’ideatore del Corpo degli Alpini, il quale corpo doveva avere specifica conoscenza del terreno montano per assolvere il compito della difesa dei valichi alpini della nostra frontiera, fu l’allora capitano di Stato Maggiore Giuseppe Domenico Perrucchetti, nato a Cassano d’Adda, in provincia di Milano il 13 luglio 1839 (a venti anni fuggì dalla Lombardia, allora sotto la dominazione austriaca, per arruolarsi volontario nell’esercito Piemontese).
Studioso di storia, volontario alla Seconda Guerra d’Indipendenza e a quella del 1866, ove si guadagnò una medaglia d’argento, il Perrucchetti conosceva i fasti delle milizie montanare che, fin dai tempi di Roma imperiale, si erano formate sulle Alpi e le avevano difese dalle invasioni barbariche.
Conosceva le imprese dei Valdesi, il perfetto organismo delle milizie paesane create da Emanuele Filiberto, quelle dei “Cacciatori delle Alpi” delle campagne del nostro Risorgimento e le famose imprese dei Volontari Cadorini di Pier Fortunato Calvi.
Prendendo lo spunto da quella concezione strategica, nel 1871 il geniale Ufficiale, appassionato di montagna e acuto studioso di operazioni militari in zone alpine, redasse un’originale memoria nella quale sosteneva e dimostrava il concetto che la difesa di primo tempo (copertura) del confine alpino dovesse essere affidata a presidi di soldati nati in montagna, pratici dei posti sin dalla prima giovinezza e sicuramente ben motivati nel caso dovessero difendere la propria casa. Un altro elemento fondamentale su cui il Perrucchetti fondava il suo studio erano i vantaggi, ai fini della celerità e della semplicità di mobilitazione, che il reclutamento regionale presentava.
Lo studio del Perrucchetti, pubblicato sulla Rivista Militare Italiana, fu apprezzato e subito acquisito dal generale novarese Cesare Ricotti Magnani, Ministro della Guerra e brillante ufficiale di artiglieria dell’esercito piemontese, impegnato in quel momento a ristrutturare l’esercito sul modello dell’esercito di leva Prussiano (l’esercito Prussiano si fondava sulla ferma breve e sul reclutamento regionale).
Tenendo conto delle risorse del Paese, della classe politica che voleva dimostrare che l’Italia poteva diventare una potenza europea e della rapida evoluzione della situazione internazionale, il generale Ricotti, diede vita a una struttura militare capace di valorizzare e inquadrare tutte le forze espresse dalla nuova realtà nazionale.
Vale la pena evidenziare che Cesare Ricotti Magnani fu l’uomo che, in pochi anni, trasformò radicalmente l’organismo militare italiano attuando una profonda ristrutturazione dell’Esercito. Per avere una Nazione a livello europeo egli introdusse il sistema prussiano con la ferma breve e il reclutamento nazionale e non regionale come attuato in Prussia.
Il giovane ministro, per evitare l’ostacolo della Camera (che non vedeva di buon occhio nuovi oneri finanziari), ricorse a un espediente: inserì negli allegati del Regio Decreto n°1056, che sanciva un riordinamento dei Distretti Militari, la costituzione di 15 nuove compagnie distrettuali permanenti, con il nome di “Compagnie Alpine” (per un totale di 2000 uomini), da dislocare in zone di montagna. A ciascuna compagnia venne assegnato un mulo con una carretta per il trasporto dei viveri e dei materiali. Come arma individuale agli alpini venne dato in dotazione il fucile Wetterli modello 1870 (dal nome dell’inventore, un meccanico svizzero).
Così nacquero gli “Alpini”, camuffati da distrettuali, fra le pieghe di un Decreto Regio, ma con già sulle spalle un fardello di compiti e responsabilità pesanti quanto il loro zaino di allora e di sempre.
Il privilegio di costituire i primi reparti alpini toccò alla classe del 1852, ovviamente denominata “classe di ferro”.Esse avevano la seguente dislocazione: 1a compagnia a Borgo S. Dalmazzo; 2a compagnia a Demonte; 3a compagnia a Venasca; 4a compagnia a Luserna S. Giovanni; 5a compagnia a Fenestrelle; 6a compagnia a Oulx; 7a compagnia a Susa; 8a compagnia ad Aosta; 9a compagnia a Bardonecchia; 10a compagnia a Domodossola; 11a compagnia a Chiavenna; 12a compagnia a Sondrio; 13a compagnia a Edolo; 14a compagnia a Pieve di Cadore; 15a compagnia a Tolmezzo.
A queste truppe speciali fu posto sul capo un cappello di feltro nero a bombetta, con una stella di metallo a cinque punte e coccarda tricolore, ornato con una penna di corvo, il quale divenne subito l’emblema araldico dei soldati della montagna.
Nel giro di qualche anno le 15 compagnie diventarono 36 e i battaglioni dieci. A ogni battaglione venne assegnata una doppia sede, una estiva (dal 1° maggio ai primi di novembre) e un’altra invernale. Nel 1882, a dieci anni dalla costituzione del Corpo, per esigenze operative si costituirono i primi sei reggimenti: il 1°, il 2°, il 3°, il 4°, il 5°e il 6°. Il cappello alpino subì altre modifiche: il fregio a stella fu sostituito con un fregio di metallo bianco raffigurante un’aquila ad ali spiegate sormontata da una corona reale: appoggiata su una cornetta sovrapposta a due fucili incrociati e contornata da una scure e una piccozza, con rami di quercia e di alloro, essa rappresentava il simbolo di potenza e audacia del Corpo degli Alpini; sul tondino del fregio venne applicato il numero del reggimento e sul cappello della truppa le nappine mutavano di colore a seconda dei battaglioni e cioè bianco (1° battaglione), scarlatto (2° battaglione), verde (3° battaglione), turchino (4° battaglione). Per identificare gli ufficiali superiori si stabilì di guarnire il cappello con una penna bianca. Alle truppe di montagna vennero date le “Fiamme Verdi” a due punte e s’incominciò a distinguere fra la fanteria alpina e l’artiglieria da montagna. Anche il cappotto con lunghe falde, molto ingombrante, venne sostituito con una mantellina alla bersagliera di colore turchino scuro mentre le scarpe basse furono sostituite da stivaletti alti con legacci simili a quelli usati dai montanari.
I reparti alpini, in considerazione del valore strategico dell’arco alpino, furono potenziati mediante una serie di provvedimenti di carattere ordinativo:
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nel 1877 venivano costituite le prime 5 batterie da montagna, destinate ad accompagnare con il fuoco le imprese degli alpini;
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nel 1887 i reggimenti diventarono 7, i battaglioni 22 e le compagnie 75; il fucile “Wetterli 1870” venne trasformato in un’arma a ripetizione ordinaria; il nuovo modello prese il nome di “Fucile modello 70/87 Wetterli – Vitali” dal nome del capitano di artiglieria che modificò il vecchio modello;
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sempre nel 1877 nasce in Torino il primo reggimento di artiglieria da montagna su 9 batterie; l’armamento di base è costituito dal pezzo da 75 millimetri di calibro;
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nel 1888 i muli furono aumentati da uno a otto per compagnia.
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nel 1891 il fucile Wetterli – Vitali venne sostituito dal fucile modello ’91 che rimarrà in dotazione agli alpini fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nati per combattere sui ghiacciai e sulle alte vette delle Alpi, gli alpini per uno dei tanti e curiosi scherzi della storia, ebbero il “battesimo del fuoco” sulle roventi ambe africane, nelle campagne di Eritrea del 1887 e del 1896, ove mostrarono il loro valore e le loro qualità di fieri soldati nella sfortunata battaglia di Adua del 1° marzo 1896, sull’Amba Rajo, ove il 1° Battaglione Alpini d’Africa, comandato dal tenente colonnello Davide Menini, s’immolò sul posto.
In quella tragica giornata, oltre al comandante di battaglione, caddero alla testa dei reparti il capitano Pietro Cella, prima medaglia d’oro al valore militare degli alpini e quattro valorosi ufficiali di artiglieria da montagna anch’essi decorati con la medaglia d’oro al valore militare per l’eroico comportamento tenuto di fronte alle aggressive forze abissine.
Molteplici furono le innovazioni e i mutamenti adottati all’equipaggiamento e alle armi agli inizi del ventesimo secolo. Da non dimenticare il novembre del 1902, data importante per la Specialità; dopo un periodo di intense prove effettuate presso il 3° Reggimento Alpini, viene dato in dotazione ai reparti il nuovo e veloce mezzo di locomozione su neve: gli sci, che permisero di risolvere il problema del movimento sui terreni innevati.
Vale la pena di ricordare gli esperimenti effettuati dal Battaglione Alpini Morbegno del 5° Reggimento Alpini, nel luglio del 1905, per l’adozione di un’uniforme di colore grigio per mimetizzare maggiormente i combattenti.
La nuova uniforme fu esperimentata da un plotone della 45a compagnia, denominato il “Plotone grigio” e, dopo il felice esito delle prove effettuate con il resto del battaglione, nel 1908 fu adottata da tutte le armi dell’Esercito.
Anche quando chiamati a operare fuori dall’ambiente montano, gli Alpini hanno sempre dimostrato le loro qualità umane e professionali: la lealtà, il senso del dovere, l’alto spirito di disciplina, il culto della generosità, il rispetto dell’impegno assunto facendolo bene sino in fondo.
In Africa orientale, in Libia, sulle Alpi, nella penisola Balcanica, nella gelida steppa di Russia, durante la Guerra di Liberazione e la Resistenza, nei Lager nazisti e di Stalin, gli Alpini hanno offerto una lunga testimonianza di eroico valore, di esemplare spirito di corpo e di profonda fede nelle patrie istituzioni, dimostrando anche nei momenti più drammatici, tempra montanara, grande dignità, spirito di solidarietà umana, rispetto per i più deboli.
Alla Prima Guerra Mondiale gli Alpini parteciparono con 88 battaglioni e 66 gruppi di artiglieria da montagna per un totale di 240.000 alpini mobilitati.
Quarantuno mesi di lotta durissima e sanguinosa costituirono per gli Alpini un’epopea di episodi collettivi e individuali di altissimo valore e di indomita resistenza, di battaglie di uomini contro uomini, di uomini contro le forze della natura, di azioni cruente e ardimentose sulle alte vette dalle enormi pareti verticali, di miracoli di adattamento alle condizioni più avverse e nelle zone alpinisticamente impossibili.
Le operazioni belliche condotte sulla fronte alpina furono uno straordinario banco di prova dell’ingegno e dell’audacia dei comandanti e dell’altissimo valore personale dei singoli alpini e misero in evidenza uno spirito di adattamento dell’uomo sino allora impensabile.
Alla metà di giugno del 1915 gli Alpini effettuarono la prima leggendaria impresa, la conquista del Monte Nero, davanti alla quale anche i nostri avversari così si espressero: “Giù il cappello davanti agli alpini! Questo è stato un colpo da maestro”.
Dal Monte Adamello al Monte Nero, dalle Tofane al Carso, dalla Marmolada al Monte Ortigara, dallo Stelvio al Monte Grappa, dal Monte Pasubio al Passo della Sentinella, aggrappati alla roccia con le mani e con le unghie per lottare contro il potente nemico, costruirono con mezzi rudimentali strade e sentieri fino sulle cengie più ardite, combatterono memorabili battaglie di mine e contromine, portarono a termine brillantissimi colpi di mano espugnando posizioni ritenute imprendibili e aggiunsero alle fantastiche leggende delle Dolomiti storie di giganti della lotta in montagna.
Il contributo dato dagli Alpini nella Grande Guerra è ampiamente evidenziato dalle seguenti cifre: ufficiali, sottufficiali e alpini morti 24.876, feriti 76.670, dispersi 18.305.
38.181 “Penne Mozze” cadute nell’adempimento del Dovere, falciate dal piombo nemico, travolti dalle valanghe, strappati dalle insidie della guerra o dalle avversità della montagna.
Uno scrittore inglese, Rudyard Kipling, venuto in visita alla fronte italiana nel corso della Prima Guerra Mondiale, espresse questo giudizio sugli alpini: “Alpini, forse la più fiera, la più tenace fra le specialità impegnate su ogni fronte di guerra. Combattono con pena e fatica fra le grandi Dolomiti, fra rocce e boschi, di giorno un mondo splendente di sole e di neve, la notte un gelo di stelle. Nelle loro solitarie posizioni, all’avanguardia di disperate battaglie contro un nemico che sta sopra di loro, più ricco di artiglieria, le loro imprese sono frutto soltanto di coraggio e di gesti individuali. Grandi bevitori, lesti di lingua e di mano, orgogliosi di sé e del loro Corpo, vivono rozzamente e muoiono eroicamente”.
Durante il Secondo Conflitto Mondiale gli Alpini furono presenti su quattro fronti di guerra assai diversi per caratteristiche morfologiche e strategiche: sulle Alpi Occidentali (dal 10 al 25 giugno), in Grecia (dal 28 ottobre 1940 al 23 aprile 1941), in Jugoslavia (dal luglio 1941 al settembre 1943), in Russia (dal gennaio 1942 al marzo 1943).
Una storia, quella degli Alpini, fatta con il sangue lungo un itinerario costellato di croci. In Russia, gli Alpini, in una marcia senza fine, sotto il flagello del freddo e i ripetuti violenti attacchi russi che non davano tregua, affrontarono durissimi sacrifici e sofferenze che la nostra mente oggi non riesce nemmeno a immaginare.
Eroico fu il comportamento degli Alpini che a Nikolajewka riuscirono a rompere il cerchio di ferro e di fuoco dei soldati dell’Armata Rossa.
Inferiori di mezzi di equipaggiamento e di armamento, gli Alpini, grazie all’ineguagliabile spirito di Corpo, all’attaccamento alla loro terra, ai loro affetti, alla generosità che anima tutti i figli della montagna, seppero soffrire con dignità e onore, compiendo infiniti gesti di umanità e di fratellanza verso tanti fratelli stremati dal gelo, dalle ferite, dalle fatiche, dalla fame e dal nemico implacabile.
Di essi, don Carlo Gnocchi – indimenticabile cappellano degli alpini in Russia – apostolo della fede ed eroico sacerdote a fianco delle Penne Nere stremate in ritirata, disse: “Tutti hanno compiuto opera veramente sovrumana. Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio. Sì, perché avevano quella fede che li ha fatti diventare eroi; l’amore per la Patria e la famiglia, fede che diventa sempre più grande quanto più il gelo di una natura ostile, l’aggressione ossessionante di una terra nemica senza orizzonti e senza mete si accanivano contro di loro e quando le forze stavano per crollare, la visione dell’Italia, della famiglia lontana, era per loro una luce che li rendeva decisi a raggiungerla. Solo uomini che possiedono così forte questa fede possono aver fatto quello che hanno fatto per cercare di uscire dal cancello dell’eternità”.
A conclusione della tremenda odissea della campagna di Russia per gli alpini si può ripetere la frase di Tacito: “Annoverarono la sfortuna tra le cose dubbie, fra le certe il valore”.
Oggi, nel luogo dove oltre mezzo secolo fa si svolgeva una guerra sanguinosa e terribile, sorge un bellissimo asilo che ospita 150 bambini russi. L’Associazione Nazionale Alpini, per ricordare il sacrificio di migliaia di Alpini rimasti per sempre in terra di Russia, animata da una forte tensione morale e dalla volontà di legare i ricordi del passato a un solidale impegno rivolto alle generazioni di oggi, ha costruito a Rossosch (luogo in cui nel 1942 c’era la sede del Corpo d’Armata Alpino) un meraviglioso asilo, in segno di solidarietà e di fratellanza fra i popoli. Là dove 59 anni fa risuonavano terribili grida di guerra oggi si elevano gioiosi canti di pace. Chi ha sofferto nell’anima e nella carne, come moltissimi alpini, la violenza spietata della guerra conosce l’immenso valore della pace, della solidarietà e della giustizia.
Subito dopo l’8 settembre anche gli Alpini vissero le tragiche sorti del resto dell’Esercito Italiano lasciato senza ordini e alla mercé delle armate tedesche. Nei successivi lunghi mesi di guerra gli alpini diedero vita a numerose formazioni partigiane sia in Italia che all’estero tra cui la Divisione “Garibaldi” costituita in Montenegro con gli alpini della Divisione “Taurinense” e della Divisione di fanteria “Venezia” per combattere a fianco dei partigiani Jugoslavi contro i tedeschi.
Al nord Mussolini, sostenuto dai tedeschi, in settembre fondava la Repubblica Sociale Italiana per continuare la guerra a fianco dei tedeschi. Fu costituito il Battaglione Alpini Tagliamento con il compito di difendere i confini orientali minacciati dai partigiani di Tito.
Successivamente, nell’aprile del 1944, la Repubblica di Salò costituì la Divisione “Monterosa” che inquadrava il 1°, 2° e 4° Reggimento Alpini. Anche in quei reparti numerosi furono gli atti di valore compiuti in nome di un ideale.
Nel Sud dell’Italia il contributo delle Penne Nere alla Guerra di Liberazione si concretizzò con la partecipazione dei battaglioni alpini “Piemonte”, “L’Aquila” e “Monte Granero” a fianco delle unità anglo – americane.
Durante la campagna per la liberazione d’Italia numerosi furono gli episodi di valore e lo spirito combattivo fu talmente elevato che s’imposero all’ammirazione degli alti comandi alleati. Da non dimenticare la conquista di Monte Marrone, Montelungo, Colle delle Mainarde, Filottrano, Valle Idice e Bologna.
Dopo la tempesta della guerra, con la ricostituzione dell’Esercito, vennero ripristinate, nell’arco di otto anni, cinque Brigate Alpine: Julia, Tridentina, Cadore, Orobica e Taurinense, formate su un reggimento alpini, un reggimento artiglieria da montagna e supporti tattici e logistici.
Uomini fieri e infaticabili, uomini ricchi di fede, temprati dalla lotta con la natura, dotati di un luminoso patrimonio spirituale ereditato dai propri padri, gli Alpini hanno portato sempre intatto nella parentesi del servizio militare, queste preziose qualità civiche e umane, indispensabili per chi deve assicurare la difesa della Patria. Non c’è pagina di storia militare italiana dall’ultimo ventennio del secolo diciannovesimo a oggi che non ha visto in prima fila gli Alpini: ne fanno fede le 210 medaglie d’oro al Valore Militare, le 3 medaglie d’oro al Valore Civile e una medaglia d’oro al Merito Civile che fregiano il glorioso Labaro nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini e che racchiude e sintetizza la prestigiosa storia del Corpo degli Alpini.
Se onnipresente e massiccia – con migliaia di Caduti e feriti – fu la presenza delle Truppe Alpine su tutti i fronti di guerra, non dobbiamo dimenticare che gli alpini in armi e in congedo dell’Associazione Nazionale Alpini sono stati e sono sempre presenti ovunque la solidarietà umana richiede impegno, aiuto morale e materiale.
Senso di solidarietà che è innato nella gente di montagna, che consiste nell’offrire la propria disponibilità verso gli altri senza interesse e a profonderla con generosità specie verso i più bisognosi. Gli esempi in tal senso sono innumerevoli e pressoché quotidiani.
L’Associazione Nazionale Alpini non è solo costituita da uomini che amano radunarsi per sfilare con il cappello alpino in ricordo e in onore delle generazioni del passato; essa è oggi più che mai un organismo vivo e operante nella realtà quotidiana del nostro Paese con il fine di insegnare ai giovani l’amore verso il prossimo e l’amore verso la Patria.
Fedele all’impegno di onorare i caduti aiutando i vivi, l’Associazione con i suoi 340.000 iscritti, e i suoi Gruppi della Protezione Civile che si estendono su tutto il territorio (oltre 13000 volontari, organizzati in 70 nuclei operativi) interviene in massa volontariamente in soccorso delle popolazioni civili colpite da calamità naturali e in occasione di emergenze pericolose, senza limiti di tempo e di spazio. In caso di emergenza, nel giro di poche ore, sono in grado di raggiungere le località più diverse in Italia e all’estero. Mi è impossibile ricordare tutto questo grande patrimonio di solidarietà e di generosità che si traduce ogni giorno in varie attività di volontariato, di pronto intervento, di assistenza, di soccorso morale e materiale.
Nell’Associazione operano i Gruppi di “Donatori di sangue”, di “Donatori di organi”, le Squadre di “Soccorso alpino”, le “Squadre ecologiche”, le “Squadre specializzate al restauro” di chiesette, rifugi alpini, monumenti, strade di montagna e molte altre attività di pubblica utilità. Fra le molte iniziative desidero citarne alcune che si possono a buona ragione definire le più importanti:
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la costruzione del Centro rieducazione handicappati di Endine Gaiano nel bergamasco;
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costruzione della “Casa di pronta accoglienza” a Cinisello Balsamo, edificata dalla Sezione A.N.A. di Milano e che consente di accogliere e di assistere in modo idoneo chi chiede aiuto quando non ha un posto per dormire e un tavolo per mangiare;
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la costruzione della “Baita Don Onorio” di Trento, costruita dagli alpini trentini per ospitare famiglie in condizioni precarie;
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la costruzione della “Scuola Nikolajewka” di mestieri per spastici e miodistrofici di Brescia, inaugurata nel gennaio 1984;
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la costruzione del Centro di assistenza per bambini handicappati di Padova “Il fienile” costruito dagli alpini di Padova con fini ricreativi e di accoglienza;
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la costruzione del Centro polifunzionale per handicappati di Dalmine, capace di ricevere 120 persone bisognose di cure;
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il Centro handicappati di Casale Monferrato, costruito dagli alpini della Sezione A.N.A. di Casale finalizzato per attività di tipo psicomotorio;
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la costruzione delle Case “Natale 1” e “Natale 2” ad Aviano, destinate all’accoglienza dei malati terminali provenienti da tutta Italia e per dare alloggio ai parenti dei malati di tumore ricoverati presso il centro oncologico di Aviano;
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l’ospedale da campo aviotrasportabile della Protezione Civile dell’Associazione Nazionale Alpini, una struttura mobile, predisposta da tempo con eccellenti equipe di medici, paramedici e personale tecnico completamente autosufficiente e in grado di intervenire in qualsiasi condizione di tempo e di luogo.
Si tratta, quest’ultima, di una compagine ormai da tempo consolidata e riconosciuta dal Dipartimento della Protezione Civile. Nell’aprile del 1999, in pieno conflitto balcanico, è stata inviata a Kukes e a Valona una grossa aliquota della Protezione Civile dell’A.N.A. a erigere campi profughi per i kosovari e per dare loro assistenza sanitaria.
Sono tante piccole luci che da molti anni si accendono per aiutare il nostro prossimo che si trova in difficoltà o nel dolore.
Ultimamente, per vincere l’odio, l’Associazione Nazionale Alpini ha ricostruito una scuola in Bosnia, a Zenica (a 60 chilometri da Sarajevo), un complesso che ospita ottocento fra studenti e scolari delle scuole elementari delle tre etnie. Si tratta di un lavoro significativo e importante tendente a migliorare i rapporti umani fra le varie etnie, progetto che punta sui giovani e che si prefigge di sconfiggere l’odio e le ingiustizie fra gli uomini.
Non esiste differenza, sotto l’aspetto della disponibilità al sacrificio e della solidarietà umana, fra gli Alpini in armi e gli Alpini in congedo, fratelli in nobile slancio di altruismo ogniqualvolta la posta è il salvataggio di vite umane o l’aiuto tangibile e immediato a persone che si trovano in stato di sofferenza. Slancio più volte dimostrato nelle attività di soccorso in occasione dei disastri o calamità naturali che tanto sovente colpiscono il nostro Paese.
E non a caso la prima decorazione, in assoluto, al Valore a un reparto alpino venne concessa non per un atto di guerra, bensì per un atto di solidarietà umana nei confronti della popolazione civile. La meritò il Battaglione Alpini “Val Stura” del 2° Reggimento Alpini, che la notte del 19 agosto 1883, accorse tempestivamente a spegnere un furioso incendio sviluppatosi nell’abitato di Bersezio (Provincia di Cuneo).
Dal primo intervento degli Alpini effettuato nel luglio 1873 dalla 14a Compagnia Alpina di Pieve di Cadore a favore della popolazione di Alpago (Belluno), colpita dal terremoto, le “Penne Nere” hanno sempre operato con grande tempestività, elevata efficienza operativa con magistrale competenza negli interventi, riscuotendo l’apprezzamento e l’ammirazione incondizionata della popolazione e delle autorità civili e religiose. Questa presenza nei momenti drammatici dell’emergenza, questa vicinanza degli alpini alle popolazioni colpite da eventi calamitosi è un unico filo conduttore che, da quel lontano 1873, porta fino ai giorni nostri.
Dal primo soccorso a oggi migliaia sono stati gli interventi di carattere umanitario a favore dei disastrati e dei più deboli.
Ricordo il terremoto in Calabria nel settembre del 1905, il violentissimo terremoto di Messina del 1908, il disastro per il crollo della diga del Gleno nel 1923, la catastrofe del Vajont nell’autunno del 1963 che distrusse interi paesi, la devastante alluvione del novembre 1966 nell’Italia settentrionale; e ancora il terremoto del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia nel 1980 e, in tempi più recenti, la frana di Stava nel 1985, l’alluvione della Valtellina nell’estate del 1987, il terremoto in Armenia nel 1988, l’alluvione in Piemonte nel novembre 1994, nel 1997 il terremoto in Umbria e Marche e nell’ottobre del 2000 la drammatica alluvione in Piemonte e Val d’Aosta che sconvolse intere vallate. Oggi le truppe alpine, rinnovate nella struttura e nei ruoli da svolgere, sono uno strumento non solo al servizio del nostro Paese ma anche, e soprattutto, a sostegno della politica estera. L’era degli interventi umanitari e di mantenimento della pace (peace-keeping), oltre i confini nazionali si è aperta nei primi anni novanta con l’intervento in Kurdistan, ma ha registrato un rilevante e qualificante impegno in Mozambico nel 1993-94, devastato da 16 anni di guerra civile, dove gli alpini hanno svolto una difficile missione di pacificazione a rischio della loro vita. Gli alpini delle Brigate “Julia” e “Taurinense” e i paracadutisti della compagnia alpini “Monte Cervino”, inviati oltremare per conto dell’ONU, operarono con grande successo contribuendo a spegnere i focolai di conflittualità interni. Da allora le Penne Nere hanno partecipato a numerose missioni di pace fra le quali è doveroso ricordare le operazioni in Albania nel 1991, l’intervento in Bosnia-Erzegovina dominata da laceranti contrasti etnici - religiosi che affondano le radici nella storia e, recentemente, il poderoso soccorso umanitario in Albania, in Macedonia e nel Kosovo, in fraterna collaborazione con altri reparti delle forze armate italiane in aiuto dei profughi Kosovari, scacciati con violenza dalla loro terra. Si tratta di un impegno ad alto rischio e sempre oneroso che gli “alpini con le stellette” hanno affrontato con assoluta dignità di comportamenti per assicurare in quella regione colpita da anni di contrasti e odi religiosi la convivenza pacifica, la giustizia e la pace. Rilevanti il numero delle missioni all’estero nell’anno 2001 per un totale di 10.500 uomini impiegati nei Balcani.
Con i “Veci”, reduci della seconda guerra mondiale, si trovano a lottare fianco a fianco i giovani “Bocia” insieme agli alpini in armi dove impegnano ogni energia fisica e morale per offrire tutto l’aiuto possibile nella difficile opera di soccorso. Significativa la partecipazione degli alpini, in concorso con le Forze di Polizia, per il controllo del territorio in Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania, contributi molto validi per dare più sicurezza a quelle popolazioni fortemente condizionate dalla malavita organizzata.
Prima di terminare questa mia breve esposizione desidero darvi alcuni cenni sulla nuova configurazione delle Truppe alpine. Da qualche anno l’esercito italiano, unitamente alle altre nazioni dell’alleanza atlantica, ha iniziato con decisione una fase di profonda evoluzione e modernizzazione, senza però trascurare quella che è la realtà oggettiva nella quale è inserito l’esercito nel contesto nazionale.
I fattori che hanno concorso a imprimere la trasformazione sono molteplici e comprendono fattori interni al Paese ed elementi di politica e sicurezza internazionale. Tra i fattori meritevoli di essere ricordati per la loro notevole importanza sono il processo ormai in atto di trasformazione dell’“esercito di popolo” – idea che ha accompagnato il Paese durante l’intero processo di unificazione nazionale e fino ai giorni nostri – in “esercito per il popolo” e, altro fattore decisivo, la partecipazione alla costruzione dell’esercito europeo.
Con il nuovo processo di radicale trasformazione si passerà, in tempi abbastanza ristretti, da un esercito fondato sulla coscrizione obbligatoria a un altro misto per poi passare, nel giro di tre anni, a un esercito interamente professionale. Le caratteristiche fondamentali della riforma prevedono unità costituite da personale maschile e femminile su base volontaria annuale e permanente.
L’esercito per il popolo dovrà assolvere il duplice ruolo di provvedere alla difesa e sicurezza in armi della collettività nazionale e di contribuire alla creazione di un complesso di forze da destinare per la difesa dell’Europa unita. Uno strumento non solo nazionale ma un esercito anche per l’Europa.
Il modello professionale, una volta realizzato, avrà una forza di 112.000 uomini. Sono dell’avviso che con forze così ridotte sarà molto difficile rispettare tutti gli impegni internazionali e nello stesso tempo garantire, con le scarse risorse disponibili, un’efficace capacità di difesa del nostro Paese.
Alla luce di quanto sopra detto anche le Truppe Alpine come, peraltro, gli altri corpi dell’esercito hanno dovuto adattarsi ai rapidi mutamenti adeguando la loro struttura al nuovo contesto nazionale e internazionale.
Ricordo che per le Truppe Alpine il processo di ristrutturazione ebbe inizio già nel 1991 con lo scioglimento della Brigata alpina Orobica, nel 1997 con lo scioglimento della Brigata Alpina Cadore e recentemente della Brigata Tridentina. Molte gloriose Bandiere di guerra, irte di medaglie al valore militare e civile, sono state ripiegate e relegate a Roma presso il Vittoriano.
Così le Brigate Alpine da cinque, nel giro di pochi anni, sono scese a due. Attualmente gli alpini in forza al Comando Truppe Alpine ammontano a circa 12.000 uomini.
Oltre alle due Brigate, il Comando Truppe Alpine, erede del glorioso 4° Corpo d’Armata alpino e discendente dal 4° Grande Comando Militare con sede a Bologna, ha alle sue dipendenze varie unità di supporto: un battaglione alpini paracadutisti, il “Monte Cervino”, un reggimento di artiglieria alpina, un reggimento di aviazione leggera dell’esercito, un reggimento logistico di manovra, il 6° e l’11° Reggimento Alpini (ceduti dalla Brigata Alpina Tridentina in previsione dello scioglimento della stessa) e il 16° e 18° Battaglione Addestramento Reclute.
Ciascuna brigata alpina è costituita su: un Comando e Supporti tattici; tre reggimenti alpini (dal 1° luglio la Julia ha in forza il 5° Reggimento Alpini già facente parte della Tridentina); un reggimento artiglieria da montagna; un battaglione logistico; un reparto di sanità quadro (quello della Brigata Taurinense è operativo).
Oltre ai succitati reparti il Comando Truppe Alpine ha alle sue dirette dipendenze il Centro Addestramento Alpino (già Scuola Militare Alpina di Aosta) con il quale opera in perfetta collaborazione per elevare la “specializzazione” dei propri uomini e reparti con il fine di esaltare le capacità operative e di sopravvivenza in montagna.
Oggi il Centro Addestramento Alpino opera con lo stile, l’entusiasmo e l’impegno dei suoi mitici fondatori, consapevole che per meritarsi l’appellativo di “Università degli Alpini” deve saper penetrare il pianeta montagna con immutata volontà e amore.
La Brigata Alpina Taurinense, dislocata per grande parte in Piemonte, è tutta su base volontaria per assicurare compiti operativi all’estero nell’ambito di missioni multinazionali; la Julia, prevalentemente su personale di leva, è in grado di assicurare compiti di difesa nazionale e di cooperazione in attività di partneriato per la pace (partnership for peace).
La Taurinense è articolata su tre reggimenti alpini (il 2° a Cuneo, il 3° a Pinerolo, il 9° a L’Aquila) e un reggimento artiglieria da montagna, il 1° Reggimento armato con 24 obici da 105/14 e una batteria contraerea di missili Stinger.
Nell’ambito della Brigata Taurinense è inquadrato il contingente italiano della forza mobile di ACE (AMF/L), denominato “Cuneense” (costituito dal Gruppo Tattico Susa con unità di fanteria alpina, artiglieria da montagna, genio guastatori, trasmissioni e unità elicotteri), da un reparto aviotrasportabile e da un nucleo di supporto logistico, per un totale di 2000 uomini.
Il contingente “Cuneense” partecipa dal 1963 alle esercitazioni NATO che si svolgono nelle aree addestrative in Italia, in Norvegia, in Danimarca e in Turchia.
Fa parte delle forze di proiezione ovvero di quelle forze destinate a operare all’estero in contesti multinazionali e interforze. La Brigata negli ultimi anni ha operato con le altre forze della NATO e dell’Unione Europea in Bosnia, in Albania e nel Kosovo.
La Brigata Alpina Julia, erede della leggendaria Divisione Alpina Julia, con reparti dislocati in Friuli, nel Cadore e nel Trentino Alto Adige, è la unità leader della forza multinazionale italo–sloveno–ungherese (MLF–Multinazional Land Force) e nel prossimo futuro è destinata a pilotare interventi all’estero. L’area geografica d’impiego della MLF include l’Europa centro-orientale e sud-orientale, in teatri operativi caratterizzati da terreno accidentato, disagevole o con scarsa mobilità terrestre.
Essa è articolata su quattro reggimenti alpini, il 5° a Vipiteno, il 7° a Feltre, l’8° a Cividale e il 14° a Venzone, un reggimento di artiglieria da montagna, il 3° con sede a Tolmezzo e il 2° reggimento genio guastatori alpino, di sede a Trento.
La Julia è una grande unità alpina capace di assolvere al meglio i numerosi compiti assegnatili sia in ambito nazionale che internazionale quale Brigata “framework” (comando operativo con personale internazionale) della Multinazional Land Force. In tale contesto la Brigata ha partecipato dal 2 aprile al 2 agosto 2001 alla missione NATO “JOINT GUARDIAN KFOR – 5” in Albania dove ha assunto il comando della Communication Zone (West).
Attualmente la Brigata è alimentata con personale di leva in grado di partecipare alla difesa del nostro territorio e di fornire interventi qualificati e immediati in caso di calamità naturali.
Ritengo doveroso dare alcune notizie sulla Brigata Alpina Tridentina di fatto disciolta il 1° luglio 2002. La Tridentina che custodiva il ricordo e le tradizioni della gloriosa Divisione Alpina Tridentina, era dislocata in Alto Adige. Possedeva una spiccata particolarità alpina che le conferiva la possibilità di poter vivere e combattere in alta montagna e in terreni di difficile percorribilità.
Flessibilità, bivalenza, autonomia tattico – logistica, leggerezza, erano i fattori che davano alla brigata una comprovata ed elevata capacità operativa. Era costituita da tre reggimenti alpini ( il 5° a Vipiteno, il 6° a S. Candido e l’11° a Brunico), dal Battaglione Alpini Edolo con sede a Merano e dal Battaglione Logistico Tridentina di sede a Bressanone. Il Comando Brigata aveva la sua sede a Bressanone nella caserma generale Luigi Reverberi, medaglia d’oro al valore militare.
Lo stato maggiore dell’esercito ha dichiarato che il Comando Tridentina non scomparirà ma verrà trasformato, entro la fine dell’anno in corso, in “Comando Divisione Tridentina” e avrà la sua sede fra Bolzano e Bressanone. Inoltre nell’area compresa fra Brunico-San Candido-Corvara, il Comando 6° Reggimento Alpini, gestirà una vasta area addestrativa che verrà utilizzata permanentemente per l’addestramento alpinistico dei reparti alpini e di altre specialità dell’esercito italiano e della Nato.
Con la radicale trasformazione dell’esercito, che si concluderà nel 2006 (il ministro Martino ha espresso l’intenzione di anticipare la ristrutturazione al 1° gennaio 2005) con l’abolizione totale della leva a favore di un esercito interamente professionale e volontario, gli alpini, dopo 130 anni di storia gloriosa, corrono il rischio di perdere le loro caratteristiche principali – ossia “l’alpinità” – che nasce dal modo di vivere essenziale, sin dalla più tenera età, in contatto diretto con la natura, negli antichi borghi o negli sperduti abitati di alta montagna, dove, per vivere, i valligiani devono affrontare ogni giorno fatiche e disagi.
In quell’ambiente spesso viene messo a dura prova la saldezza fisica e morale del montanaro: la neve, l’asprezza delle forme, la distanza dai centri abitati, la scarsità delle risorse, moltiplicano le difficoltà. A differenza del cittadino, che chiamato sotto le armi deve ambientarsi e acclimatarsi, l’alpino è già temprato alle fatiche e alle prove più ardue.
Riferendosi all’uomo alpino così si esprimeva l’indimenticabile Aldo Rasero nel suo bellissimo libro “Tridentina Avanti!”: “L’alpino sa che ha l’onore di appartenere ad una Specialità dell’esercito dove il coraggio è norma di vita, dove il sacrificio è una dura necessità accettata con fierezza, dove l’eroismo e leggenda fanno a gara nel tramandare la storia delle “penne nere”.
Con l’abolizione del criterio di reclutamento regionale che, come è noto, fu alla base della costituzione delle Truppe Alpine e che rappresenta ancora oggi un elemento di forza della Specialità, si teme che in futuro non sarà più possibile avere reparti con un alto contenuto spirituale, fortemente motivati e ricchi di quella antica cultura montanara che ha felicemente concorso a dare l’impronta all’uomo “alpino”, a farlo crescere forte, libero, tenace e solidale verso il prossimo.
Non dobbiamo dimenticare che la leva, per oltre 140 anni, ha svolto per il nostro Paese un significativo ruolo di unificazione nazionale e di progresso: ha educato milioni di giovani alla vita, ha insegnato a parlare la stessa lingua, ad affrontare sacrifici e fatiche, a prendere atto che oltre ai diritti ci sono anche i doveri da adempiere, a comprendere cosa vuol dire senso di responsabilità, senso dell’onore e amore di Patria.
Enorme è stato il contributo dato dalle Forze Armate alla comunità nazionale in termini di educazione morale, culturale, fisica e sanitaria.
Ritengo che l’Associazione Nazionale Alpini (che svolge un ruolo insostituibile di collegamento fra il personale in servizio e quello in congedo), nei prossimi anni, dovrà impegnarsi duramente per convincere i giovani, liberi dall’obbligo del servizio di leva, a prestare il servizio militare nei reparti alpini come soldati “Volontari in ferma annuale” (V.F.A.) o come “Volontari in servizio permanente” (V.S.P.).
Le Sezioni dell’Associazione delle “Penne nere”, dovranno svolgere un’intensa capillare opera di proselitismo presso quei giovani che gravitano intorno all’ambiente alpino, per esempio i giovani iscritti al Club Alpino Italiano, gli Scout e verso coloro che sono attratti dal fascino della montagna, alfine di guadagnare spazi di consenso favorevoli verso il volontariato annuale o permanente.
Mi auguro e spero moltissimo che gli alti vertici militari, sostenuti dal ricordo di tutti gli eroici Caduti che immolarono la vita per la Patria e dalla consapevolezza di fare il bene e l’interesse della collettività nazionale, seguano con la massima attenzione l’evolversi della riforma dell’esercito e siano tempestivi nel cogliere ogni più piccolo segnale discorde dagli obiettivi previsti relativi alle soluzioni adottate specie per quanto riguarda gli alpini, un Corpo ricco di nobili tradizioni, che in pace e in guerra ha sempre servito la Patria con assoluta e religiosa fedeltà insieme ai valorosi fratelli delle altre armi dell’esercito italiano.
L’Associazione Nazionale Alpini oggi più che mai deve diventare l’Alfiere di un movimento che ripristini e rinnovi nei cittadini i valori che in essi si sono affievoliti: valori di eticità, di solidarietà, di onestà, di rispetto verso la bandiera nazionale e verso le Istituzioni della Repubblica, di recupero delle virtù civili, militari, culturali e religiose.
Mi auguro caldamente, e sono sicuro di interpretare anche la Vostra volontà, che gli alpini del XXI secolo, formati alla scuola del Dovere ed educati all’amore per le montagne, affronteranno il nuovo processo di cambiamento con il tradizionale senso di responsabilità, disciplina e generosità, profondendo ogni energia spirituale e morale per superare tutti gli ostacoli, sull’esempio di quanti hanno amato la nostra Bandiera, onorando sempre e in ogni luogo la nostra Patria.
Le “Penne Nere”, nonostante i rapidi processi di rinnovamento dell’Esercito e l’abolizione della leva obbligatoria, che hanno determinato una notevole riduzione dei reparti alpini, continuano a essere alfieri di un modello di vita semplice e pulito, instancabili nell’impegno di salvaguardare e difendere i valori più edificanti dell’uomo e della società, consapevoli che prima vengono i doveri e poi vengono i diritti.
Bologna, 11 ottobre 2002