Perché la nostra Sezione si chiama “Monte Suello”?
La nostra Sezione porta il nome “Monte Suello”. Quante volte si vede scritto invece che due parole distinte, “Montesuello” tutto attaccato.
Forse per non continuare a sbagliare scrivendolo con una sola parola invece che due distinte, è bene ricordare da dove deriva questo nome.
Quando fu fondata la nostra Sezione nel 1926, si chiamava Sezione Benaco. Nel 1939, quando il regime fascista trasformò l’Associazione Nazionale Alpini in X Reggimento Alpini, assunse il nome di Battaglione “Monte Suello”, in ricordo del Battaglione Alpini Monte Suello fondato a Salò il 25 novembre 1915.
Il Monte Suello era “figlio” del Battaglione Vestone del quale portava la nappina blu.
Nella primavera del 1915, prima dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, i Battaglioni dell’Esercito Permanente (EP) furono integrati con compagnie di milizia mobile (MM) (nel nostro caso il Btg. Vestone, costituito dalla 53a, 54a e 55a compagnia fu integrato con la 91a compagnia).
Sempre all’inizio del 1915 furono istituiti i battaglioni “Valle”: erano battaglioni di milizia territoriale (MT) ai quali erano assegnate le classi anziane ed erano destinati alla tutela dei paesi, ai servizi nelle retrovie e, in caso di necessità, all’impiego con l’esercito di campagna.
Nel nostro territorio fu costituito il 15 febbraio 1915 il Battaglione Val Chiese, (anche questo nome scritto staccato) con le compagnie 253a, 254a e 255a (quest’ultima assegnata solo l’8 luglio). Anche il Val Chiese è “figlio” del Vestone del quale porta la nappina blu (si veda l’analogia nella numerazione delle compagnie).
Successivamente le compagnie di milizia mobile furono tolte ai battaglioni dell’esercito permanente ed assegnate a dei battaglioni di milizia mobile di nuova costituzione: i battaglioni “Monte”. Si tratta di battaglioni costituiti con i richiamati della milizia mobile alla quale appartengono le classi intermedie tra quelle dell'esercito permanente e quelle della milizia territoriale.
Dal Vestone, quindi, fu tratta la 91a compagnia per formare, con altre due nuove compagnie, la 139a e la 140a, il Battaglione Monte Suello.
Perché fu scelto il nome “Monte Suello”?
Ai battaglioni “Valle” veniva assegnato il nome della Vallata dove risiedeva il battaglione del'Esercito Permanente, mentre ai battaglioni “Monte” veniva assegnato il nome dalla montagna posta in testa alla vallata, e per la Valle Sabbia (la valle del fiume Chiese) tale monte si chiama Suello.
Il Monte Suello è una montagna di Ponte Caffaro di Bagolino.
È famoso anche perchè lì si svolse una famosissima battaglia il 3 luglio 1866 durante la Terza Guerra d’Indipendenza, al comando di Giuseppe Garibaldi.
Il Governo La Marmora decise all’inizio del 1866 di affidare a Garibaldi, al comando di truppe volontarie, il compito di coprire dalle posizioni di montagna intorno al Garda l’esercito regolare italiano, con lo scopo di penetrare nella Valle dell’Adige per prendere possesso del Tirolo italiano.
Garibaldi, che già il 24 giugno aveva occupato Monte Suello e Ponte Caffaro, ricevuto l’ordine di ritirarsi, la sera del 25 aveva sgombrato la zona del lago d’Idro e aveva disposto le sue truppe sui contrafforti tra i poggi del Castiglione e l’estrema punta occidentale del Garda; ma il 1° luglio, lasciati tre reggimenti tra Salò e Lonato e spostate le truppe in Valcamonica, aveva ripreso la marcia verso la frontiera trentina.
Il 3 luglio Garibaldi assalì la forte posizione di Monte Suello, che gli Austriaci difesero molto bene, ma, minacciati di aggiramento, lo abbandonarono durante la notte. Garibaldi, ferito alla coscia, dovette ritirarsi lasciando il comando.
Durante la battaglia di Monte Suello ci furono fra i garibaldini 44 morti, 266 feriti e 22 dispersi.
Il 4 luglio i volontari occuparono Bagolino e il Caffaro, quindi Lodrone e Darzo e infine Ponte di Darzo e Storo, dove Garibaldi pose il Quartiere Generale («Qui si vince o si muore»). Seguirono alcuni giorni di scaramucce.
Poi si diressero a Bezzecca dove ci fu un’altra memorabile battaglia (21 luglio), dove si aprì la strada per Trento, vittoria resa inutile dalle trattative di pace, che imposero al generale, che seguiva le operazioni in carrozza, perché ancora dolorante per la ferita ricevuta, di ritirarsi.
Il 9 agosto La Marmora telegrafò a Garibaldi ripassare la frontiera del Tirolo; Garibaldi rispose con lo storico «Obbedisco».
Chi sono gli Alpini - Gli Alpini e la solidarietà
Tratto dal Libro Verde della Solidarietà 2006
È il 15 ottobre 1872, fra le pieghe di un decreto reale che prevede l’allargamento del numero dei distretti militari, viene indicato che alcuni siano istituiti in zone alpine con in organico una compagnia distrettuale a reclutamento ed addestramento secondo particolari compiti di montagna. È l’atto ufficiale di nascita del Corpo degli Alpini.
Da quel primo decreto sono passati 131 anni di storia nella quale emergono le caratteristiche dell’Alpino: senso del dovere, attaccamento alle tradizioni, orgoglio degli emblemi che lo caratterizzano, spirito di Corpo, solidarietà fra commilitoni e la continuità di questi valori anche una volta in congedo.
Questa continuità dei valori è la base su cui poggia l’Associazione Nazionale Alpini. Al termine della Grande Guerra, prospettata come completamento dell’Unità d’Italia, i Reduci che hanno vissuto grandi sacrifici, ritengono d’avere diritto non solo ad un clima di pace, ma anche di riconoscenza. La realtà è ben diversa, scioperi, lotte di piazza, derisione, disprezzo, ostilità, negazione di quei valori per i quali hanno combattuto, fanno nascere spontaneamente la ferma presa di posizione di gran parte dei Reduci.
Il reclutamento su base valligiana, la spontanea solidarietà del montanaro, i sentimenti di fratellanza nati e rafforzati nei lunghi mesi vissuti fianco a fianco nella particolarità unica della guerra in montagna, la consapevolezza di poter sempre e comunque contare in ogni situazione sul commilitone, contribuiscono a rafforzare i vincoli mantenendoli intatti anche una volta rientrati alla vita civile. In questo clima e con questi sentimenti, un buon numero di essi frequentano abitualmente la birreria Spaten Brau di Milano nella certezza di trovare un ambiente di comuni idee e di solidarietà. Fra ricordi, ancora così vivi e presenti, commenti e semplici chiacchiere, comincia a delinearsi la proposta di costituire un sodalizio fra quanti hanno militato negli alpini. Il 12 giugno 1919 si tiene una prima riunione per concretizzare l’idea. Fra le decisioni viene approvato un concetto fondamentale: la possibilità d’iscrizione non solo a quanti hanno svolto servizio militare negli alpini dal 1872 (anno di nascita del Corpo), ai reduci delle Campagne d’Africa 1887, 1895, 1911-12 e della Grande Guerra appena conclusa, ma in futuro, anche a quanti sarebbero stati chiamati al servizio di leva negli alpini. È il concetto della continuità associativa del sodalizio.
I promotori convocano l’assemblea costitutiva per la sera di martedì 8 luglio 1919. A questa prima assemblea che si tiene nella sala dell’Associazione Capimastri di Milano partecipano circa una sessantina di Reduci alpini che approvano la costituzione ufficiale dell’Associazione Nazionale Alpini, il primo Statuto Sociale ed il Consiglio Direttivo. La notizia comincia a diffondersi prima in tutta la Lombardia poi nelle altre Regioni e da ogni parte pervengono numerose richieste di aggregazione. Questo fatto, non previsto dai soci fondatori, porta a dover modificare lo Statuto iniziale introducendo la Sezione, normalmente costituite nei Capoluoghi di Provincia, quale succursale locale della Sede Centrale.
La grande spontanea massiccia adesione e la necessità pratica di incrementare la diffusione, si completa con l’introduzione fra le norme statutarie della possibilità di aggregarsi in Gruppi, normalmente costituiti nei Comuni, con rappresentanza locale della Sezione. Si completa così la capillarizzazione e la diffusione su tutto il territorio, dalle alpi al mare, punto di forza ancora oggi dell’Associazione. Fin dalle prime riunioni, i promotori ritenevano fra i doveri associativi quello di ritrovarsi ogni anno per ricordare e onorare i compagni caduti. Ben lontano dal concetto di Adunata Nazionale che verrà più tardi introdotto, questi Convegni erano indetti in località di montagna già teatro di battaglie degli alpini nel corso della guerra. Il primo Convegno viene organizzato dalla Sede Centrale nei giorni 5-6-7 settembre 1920 sull’Ortigara. Dai 400 soci previsti, nei tre giorni giungono oltre duemila Reduci alpini provenienti anche da località dove ancora non si erano costituite Sezioni e Gruppi. L’irrefrenabile spirito alpino chiamava.
Con l’avvento del nuovo Regime politico teso a militarizzare tutto e tutti, anche l’Associazione come tutte ne è coinvolta, più nelle formalità che nei concetti fondamentali. I Direttivi Nazionali, di Sezione e di Gruppo non sono più eletti ma nominati dall’alto, i Presidenti si chiamano ora “Comandanti”, le Sezioni “Battaglioni”, le Sottosezioni “Compagnie”, i Gruppi “Plotoni”. Purtroppo anche gli alpini saranno coinvolti da altre due guerre e quella più dolorosa di contrapposizione fratricida su versanti ideologici diversi. Pur nella drammaticità degli eventi, chiari e netti sono gli esempi di solidarietà fra alpini in congedo ed in armi con sottoscrizioni, raccolta ed invio al fronte di generi di conforto, aiuti alle famiglie bisognose, ecc. Meno “normale” e per questo più significativo, è il comportamento tenuto verso la popolazione nei territori occupati e verso i soldati forzatamente nemici, dettato da quell’innato senso di rispetto e solidarietà che contraddistingue il montanaro-soldato.
Con la caduta del Regime ed il ritorno alla pace nel 1945, anche l’Associazione Nazionale Alpini forzatamente decimata nei ranghi, riprende gradatamente la rinascita e l’ordinamento originario. Alle generazioni di ex combattenti si affiancano i giovani di leva verso i quali sono riposte le aspettative e la continuità dei valori. L’esperienza di una nuova coscienza civica vissuta nel periodo del servizio militare dalle generazioni più giovani, che li ha visti operare in varie occasioni di emergenza in soccorso alle popolazioni colpite da calamità, diventa patrimonio di nuovi concetti che può sintetizzarsi nel motto “onorare i morti aiutando i vivi”.
Dal piccolo Gruppo alle grandi Sezioni cominciano a delinearsi sempre più spontanee iniziative rivolte alla solidarietà, senza enfasi e pubblicità, quasi con pudore per un qualcosa ritenuto normale. La svolta decisiva che coinvolge unitariamente tutta l’Associazione avviene all’indomani del tremendo terremoto che nel maggio del 1976 sconvolge il Friuli. La Sede Nazionale chiama tutti i soci ad un grande gesto di solidarietà realizzando un imponente progetto di soccorso e di ricostruzione al quale gli alpini rispondono con fattivo entusiasmo: per l’impegno ed i risultati raggiunti, all’Associazione viene conferita la Medaglia d’Oro al Merito Civile, che risulta essere il primo ed unico esempio di un alto riconoscimento civico ad una associazione. Sull’esempio degli alpini che hanno dimostrato grande capacità organizzativa ed operativa, comincia a delinearsi nelle autorità governative l’idea di costituire un organismo di volontariato.
Sono le basi della futura Protezione Civile che vede oggi prolifica di numerose associazioni o enti morali, con un ordinamento riconosciuto con legge dello Stato. Anche l’Associazione Nazionale Alpini è iscritta all’Albo del Volontariato di Protezione Civile, nella quale operano soci alpini e soci aggregati uniti e riconosciuti indistintamente dall’unico appellativo di Volontario. Dal 1987 anno in cui nasce ufficialmente la Protezione Civile degli Alpini, piccole e grandi opere di civile solidarietà ne hanno caratterizzato l’impegno su iniziativa del piccolo Gruppo, delle Sezioni o della Sede Nazionale. Molte regioni italiane, colpite purtroppo da calamità, hanno espresso un riconoscente grazie ai volontari accorsi con generoso altruismo e anche da territori esteri come l’Armenia, l’Albania e la Francia che ci hanno visto operare, sono giunti sinceri apprezzamenti. Questo grande impegno è stato più volte riconosciuto anche dalle Istituzioni con il conferimento all’Associazione Nazionale Alpini di una Medaglia di benemerenza al Merito Civile (Basilicata e Campania 1980), una Medaglia di Bronzo al Merito Civile (Valtellina e Valbrembana 1987, Armenia 1989), una Medaglia d’Oro al Valore Civile (Piemonte e Alta Emilia 1994) e una recente Medaglia d’Oro di benemerenza concessa dalla Croce Rossa Italiana (Aosta 2003). Oltre all’attività della Protezione Civile, molteplici sono le iniziative di solidarietà volute dalla Sede Nazionale dell’Associazione e realizzate dagli alpini: la realizzazione dell’Asilo a Rossosch in Russia, la ricostruzione della scuola “Bovio” di Alessandria, la scuola multietnica di Zenica in Bosnia, gli zaini alpini per il Mozambico e le donazioni in occasione dell’annuale Adunata Nazionale a ospedali o enti benefici, proprio perché è naturale per gli alpini aiutare chi ha bisogno, in silenzio e con gesti concreti… fedeli al motto del 5° Reggimento Alpini: “Nec videar, dum sim”, essere mai apparire!
Breve storia dell’Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.)
L’Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.), la più grossa Associazione d’Arma del mondo, che raccoglie nelle sue fila tutti gli appartenenti alle Truppe Alpine (alpini, artiglieri da montagna, genieri e trasmettitori alpini, alpini paracadutisti e appartenenti ai servizi delle Unità alpine), è sorta a Milano nel 1919 ad opera di un gruppo di alpini reduci della Grande Guerra (1915-1918).
Per quale motivo? Il combattente ha vissuto un lungo “momento della verità”: nella precaria esistenza della trincea nessuno può presentarsi diverso da com’è. Perciò le amicizie nate in guerra continuano e sono salde nel tempo.
Dunque, al termine del Primo grande conflitto mondiale, fra i reduci ex combattenti che tornavano alle loro case, e in particolare fra quelli appartenenti a Corpi speciali, non venne meno lo spirito di solidarietà e cameratismo che li aveva contraddistinti durante il periodo della guerra.
Essi, che avevano vissuto terribili esperienze dense di fatiche, rischi, sacrifici, angosce e dolori, chiedevano soltanto di potersi reinserire, dignitosamente, nella vita civile, in un clima di pace e di speranza, secondo le aspettative di una società migliore, coltivate nei lunghi anni di fronte.
Cosa trovarono invece? Un’Italia economicamente al collasso, sconvolta da una profonda crisi sociale e squassata dagli scioperi e da lotte di piazza. Trovarono derisione, disprezzo e ostilità presso una consistente parte della popolazione e, soprattutto, l’ostracismo da parte di alcune forze politiche.
Trovarono soprattutto un clima di negazione e di odio contro i valori nei quali credevano, e in nome dei quali essi avevano combattuto: il senso del dovere, l’amor di Patria e l’aspirazione a vivere in un paese migliore.
Alla scatenata e incontrollata attività di piazza, che si esibiva in continue e gratuite violenze, i governi in carica, incapaci di controllare la situazione, davano risposte fiacche esitanti e contraddittorie all’insegna di un dilagante permissivismo (venne dato l’“onorato Congedo” anche agli oltre 600.000 disertori).
Era quindi naturale e prevedibile una ferma presa di posizione di gran parte dei reduci, che intendevano ribellarsi agli insulti e alle percosse.
La fondazione dell’A.N.A.
Fu proprio in questo periodo che un buon numero di reduci, per lo più ufficiali alpini, presero a frequentare abitualmente la birreria Spaten Brau di Milano il cui proprietario era un alpino.
Tra i frequentatori del locale c’erano anche diversi soci del C.A.I. che avevano combattuto come alpini: uno di questi, Felice Pizzagalli, parlando con gli amici, propose di costituire tra i soci della Sezione di Milano del C.A.I. un gruppo riservato a quanti avevano combattuto con gli alpini, per mantener vivi in tempo di pace, tra i reduci, quei sentimenti di solidarietà e fratellanza nati e coltivati tra gli orrori della guerra.
L’idea piacque, e un gruppo di amici si riunì, il 12 giugno 1919, per un primo scambio d’idee. Nella riunione prevalse invece l’idea sostenuta dal capitano Arturo Andreoletti, valente alpinista accademico e valoroso ufficiale, Medaglia d’Argento al V.M. sul campo, di fondare un’Associazione autonoma formata esclusivamente da alpini, così da riunire in un’unica grande famiglia tutti gli appartenenti alla specialità, anche al di fuori del C.A.I..
Venne indetta un’Assemblea costitutiva, che ebbe luogo l’8 luglio ed in quella circostanza, discusso ed approvato lo Statuto, fu costituita l’Associazione Nazionale Alpini in congedo e votate le cariche sociali.
La giovane Associazione ebbe una prima infanzia difficile, i tempi erano difficili per tutti, ma la sua energia prorompente era incontenibile e sotto la guida del presidente Andreoletti, fine 1919, l’A.N.A. si affermò imperiosamente.
Alla prima Adunata Nazionale, che ebbe luogo sull’Ortigara il 5-6-7 settembre 1920, 800 soci, provenienti da 12 Sezioni, assistettero alla Messa officiata da Padre Giulio Bevilacqua. Nel gennaio di quell’anno era uscito anche il primo numero del giornale L’Alpino, organo ufficiale, dell’A.N.A., fondato a Udine nel luglio del 1919 dal ten. Italo Balbo presso il deposito dell’8° Alpini, col paterno consenso del Comandante col. Conte Costantino Cavarzerani.
Le Adunate Nazionali si susseguirono di anno in anno, con sempre crescente affluenza di alpini e consenso di popolo ed anche le Sezioni continuarono a crescere ed a moltiplicarsi.
La struttura dell’Associazione si fece sempre più completa e articolata e anche le iniziative sociali si moltiplicarono.
Nel 1925 l’A.N.A. organizzò il primo Campionato di sci, i soci erano 8.036.
Nel 1929 l’Associazione Nazionale Artiglieri da montagna si fuse con l’A.N.A.; nello stesso anno la Sede fu trasferita a Roma.
Nell’Italia fascista erano cambiate molte cose ed anche l’A.N.A. dovette adeguarsi: abolito il vecchio Statuto del 1919, entrò in vigore quello nuovo, secondo le disposizioni del Ministero della Guerra.
Il Consiglio Direttivo fu abolito, il Presidente si chiamò Comandante e fu nominato dal Governo, le Sezioni divennero Battaglioni e i Gruppi Compagnie, l’A.N.A. si chiamò 10° Reggimento Alpini. I soci erano 16.222. L’Associazione continuò a crescere riuscendo a mantenere una certa autonomia, compatibilmente con i tempi.
Il 2 giugno 1940, otto giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia, gli alpini sfilarono a Torino per la 21a Adunata Nazionale e molti avevano infilata sul cappello la cartolina precetto del richiamo alle armi; la divisione Julia era già in Albania da un anno. I soci erano 92.000. Seguirono i lunghi anni di guerra, le conseguenze dei quali sono a tutti note.
Il dopoguerra
Il 20 ottobre del 1946, a Milano, si tenne la prima Assemblea Nazionale dei Delegati del dopoguerra, si discusse il nuovo Statuto, redatto su richiesta e secondo i principi fissati dal Ministero della Guerra, nel dicembre 1945, sul carattere e finalità delle Associazioni d’Arma e si ritornò all’organizzazione originale. L’A.N.A. era rinata.
Nel 1948 Bassano del Grappa ospitò la prima Adunata Nazionale del dopoguerra e s’inaugurò lo storico “Ponte degli Alpini”, ricostruito. I soci erano 35.197 e le Sezioni già 36.
La rinascita associativa progrediva costantemente: a Torino il 14 maggio 1961, durante la 34a Adunata Nazionale che celebrava il primo secolo di Unità, sfilarono 127.000 alpini. Erano anni di crescita e trasformazioni perché anche il Paese si stava trasformando velocemente.
Nel 1975 l’Associazione contava 245.437 soci, il 66% dei quali non aveva fatto la guerra, pur non dimenticando quanti si sono sacrificati bisogna pensare ai vivi: “... basta coi monumenti e le chiesette, l’A.N.A. deve impegnarsi in qualcosa di nuovo per dare ai più giovani, che non hanno fatto la guerra, il modo di fare qualche cosa di utile”. Questo era il “pensiero guida” emerso dall’Assemblea dei Delegati.
Il Friuli
L’occasione, tragica, per la svolta auspicata si presentò il 6 maggio 1976 alle ore 21: un tremendo sisma scosse il Friuli e la Carnia, mettendo in ginocchio l’intera Regione Friuli Venezia Giulia, causando oltre mille morti e polverizzando decine di migliaia di case.
Di fronte a tale immane disastro si formò spontaneamente, nella famiglia verde, una “catena della solidarietà alpina” e prese corpo un progetto grandioso e pazzesco: intervenire direttamente nelle operazioni di soccorso e ricostruzione.
Tale progetto, definito “delirante” ed “inaccettabile iniziativa” da alcuni noti quotidiani, si concretizzò, per la grande determinazione del Presidente Nazionale Franco Bertagnolli, in 10 cantieri di lavoro sparsi nelle zone sinistrate e ripartite tra le Sezioni del Centro-Nord (quelle del Sud e quelle Estere erano “riserve strategiche”).
In questa “Grande Unità”, completamente autosufficiente, perfettamente organizzata e condotta, prestarono la loro opera oltre 15.000 volontari, donando al Friuli 108.000 giornate, pari a 972.000 ore lavorative. E non va dimenticato, in questo contesto caratterizzato anche dalla congiura del silenzio stampa organizzata attorno ai cantieri del Friuli, l’atto di fiducia del governo di Washington nei confronti dell’A.N.A.: la gestione di 43 milioni di dollari, pari a 52 miliardi di lire di allora, stanziati per la ricostruzione del Friuli.
Con l’“Emergenza Friuli” l’Associazione ha imboccato una nuova strada e sperimentato la possibilità di un diverso modo di operare nella società. Un nuovo motto annuncia l’avvenuta trasformazione: “Onorare i morti aiutando i vivi”.
È nato così il Volontariato di Protezione Civile, il primo in Italia, che verrà formalizzato nel 1987 con l’iscrizione all’Albo Nazionale del Volontariato.
Gli alpini, sempre meglio organizzati, intervengono in migliaia di iniziative e situazioni precarie: dall’Irpinia (sisma 1980) alla Valtellina (alluvione 1987), dall'Umbria (sisma 1987) al Piemonte (alluvione 2000), dal Molise (sisma 2002) alla Lombardia (sisma a Salò e Valle Sabbia del 2004).
Un'opera significativa gli alpini l'hanno realizzata in Ucraina: un asilo infantile costruito a Rossosch dove, nel 1942, sorgeva il Comando del Corpo d’Armata Alpino, per donarlo in segno di pace e amicizia ai bambini della città.
L’8 giugno del 1992 avviene la posa della prima pietra, alla presenza del sindaco della città, autorità locali ed del Presidente Nazionale dell’A.N.A. Leonardo Caprioli; il 19 settembre del 1993 la consegna. Per la cerimonia della consegna sono giunti dall’Italia 1.200 alpini, 332 dei quali con una colonna motorizzata. Finanziato completamente dai soci A.N.A., l’asilo è stato realizzato da 721 volontari in 96.430 ore lavorative.
L’A.N.A. oggi
Oggi (anno 2007) l’A.N.A. conta 316.576 soci e 67.188 aggregati (dati Libro Verde della Solidarietà 2006), ripartiti tra 112 Sezioni delle quali 81 in Italia e 31 all’estero, un servizio di Protezione Civile ottimamente organizzato, per uomini e mezzi, sulla base di 75 squadre sezionali operative a livello nazionale con un organico di 12.513 volontari autosufficienti.
Dal 1986 la Protezione Civile dell'A.N.A. è dotata di un Ospedale da Campo che è stato utilizzato anche per emergenze all'estero: in Armenia (sisma, 1988), a Valona (emergenza profughi, 1999), in Sri Lanka (tsunami, 2005).
Attualmente l’A.N.A., dopo quasi 90 anni di travagliata esistenza, è una “forza sociale” di prima grandezza, punto di riferimento per la Nazione, realtà invidiata, modello da imitare per molti stranieri e “promuovere e concorrere in attività di volontariato e Protezione Civile, con possibilità di impiego in Italia e all'estero, nel rispetto prioritario dell'identità associativa e della autonomia decisionale.”.
Nelle file dell’Associazione, “rigenerata” dal sisma del 1976, una nuova “aristocrazia civile” sta lentamente sostituendo quella “militare”, i gloriosi rappresentanti della quale sono il 15% della forza.
Dal “Fronte del Friuli” del 1976 a quello “del Molise” del 1997, gli interventi degli alpini, “soldati buoni per ogni tempo”, sono stati innumerevoli: sempre efficaci, tempestivi ed apprezzati ma, soprattutto, è stato notevole il “passaggio del testimone” ai “nuovi aristocratici emergenti”.
Dichiarò un giorno un giovane, reduce da un “fronte civile”: “Noi per motivi di età, non abbiamo potuto fare né l’Ortigara e nemmeno la Russia, però a Endine ci siamo stati, abbiamo lavorato assieme agli anziani con lo stesso entusiasmo e gli stessi ideali”.
L’idea del capitano Arturo Andreoletti ed amici, è stata veramente una grande idea.
Il 23 settembre 1997 è deceduto il capitano Rinaldo Rainaldi, l’ultimo superstite dei fondatori dell’A.N.A.: aveva 99 anni.
Personaggi
LA "Sezione BENACO" Salò - 1931
Gli Alpini
- Dal Monte Ortigara all'Afghanistan: la fulgida epopea del Dovere e del Sacrificio
relazione del Generale di Brigata Tullio Vidulich - Manifestazione storico-culturale dedicata al “Valore Alpino”
Carzano (TN), 24 gennaio 2004 - Cenni storici sulla Campagna di Russia
- La battaglia di Nikolajewka
L'A.N.A.
Preghiera dell'Alpino
Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l'animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi. Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Così sia. |
Il nostro giuramento
Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservare la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni
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Lo giurante voi?
Lo giuro!